1961. Primo Levi a Bologna

MOSTRA Online - A sessant'anni dalla testimonianza di Levi a Bologna nell'ambito della rassegna "Trent'anni di storia italiana", dal 31 gennaio 2021 la mostra online.

A cura di Caterina Quareni, MEB

Presentazione e inquadramento storico:
Alberto Cavaglion, Università degli studi di Firenze

Realizzazione video: Cesare Barbieri

 

5. Primo Levi, 1978.jpgLa mostra 1961. Primo Levi a Bologna è una sezione della mostra “Bologna 1961. I mondi di Primo Levi” inaugurata nel 2016 per il Giorno della Memoria in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino. La sezione, sviluppata dal MEB grazie ai materiali d’archivio dell’Istituto Storico Parri Emilia-Romagna, è integrata, per questa nuova edizione, da una videolezione di Alberto Cavaglion, storico e docente dell’Università degli Studi di Firenze, autore di moltissimi saggi tra i più apprezzati sull’opera di Primo Levi.

Nel 1961, Francesco Berti Arnoaldi Veli, il “partigiano Checco”, invita Primo Levi a portare la sua testimonianza sull’esperienza del lager a margine di una lezione tenuta da Enzo Enriques Agnoletti nell’ambito della rassegna “Trent’anni di storia italiana”, un ciclo di dodici appuntamenti serali presso il Teatro Comunale di Bologna.

Insieme a Primo Levi, quella sera del 13 marzo ci sono anche Giorgio Bassani, Piero Caleffi e Giulio Supino. Tre ebrei e un prigioniero politico, dunque, due internati -Levi e Caleffi- e due scampati alla persecuzione e alla cattura.

Intorno all’iniziativa, organizzata in primo luogo da Berti in qualità di segretario del “Comitato per le celebrazioni bolognesi per il centenario dell’Unità d’Italia”, ruotano anche tanti altri esponenti del mondo culturale e politico italiano e bolognese del periodo, tutti più o meno coinvolti nella lotta partigiana: Giuseppe Dozza, sindaco di Bologna dal 1945 al 1966, Eugenio Heiman, presidente della ricostituita Comunità ebraica di Bologna (e nel 1999 fondatore e primo presidente del Museo Ebraico di Bologna), Giovanni Favilli, docente universitario e assessore comunale, Ugo Guandalini, più noto come Ugo Guanda, fondatore dell’omonima casa editrice, Mario Longhena, padre delle “scuole all’aperto”.

Il clima politico nel quale le lezioni si svolgono non è tranquillo e l’attenzione pubblica verso lo sterminio nazifascista nei confronti degli ebrei, già portato davanti agli occhi di tutti nel 1959 da una mostra fotografica organizzata a Carpi, è tenuta viva dal processo ad Eichmann, che si sta celebrando proprio in quel 1961 in Israele e di cui il Resto del Carlino dà ampi resoconti.

Del contesto, della lezione di Enriques con le testimonianze di Levi e degli altri, dei profili di tutti i personaggi coinvolti nella realizzazione dell’evento la mostra e le parole di Alberto Cavaglion intendono  ricreare un profilo conciso ma sufficientemente completo che restituisca il quadro dell’epoca ma anche la consapevolezza già allora fortemente sentita circa l’importanza della memoria per la garanzia di un futuro.

 

In collaborazione con:

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Si ringraziano:

Manuela Cacchioli, MUP Editore

Cristina Chersoni, Biblioteca Universitaria di Bologna-Archivio storico

Marzia Luppi, Fondazione Fossoli

Luca Pastore, Istituto Storico Parri Emilia-Romagna

Otello Sangiorgi, Museo Civico del Risorgimento di Bologna,

Cristina Zuccaro, Centro Internazionale di Studi Primo Levi Torino

 

Videolezione di Alberto Cavaglion

 

La II G del Corso Doc del Liceo Laura Bassi di Bologna, in collaborazione con Associazione Corso Doc e Museo Ebraico di Bologna, ha prodotto un proprio video che ha per tema il capitolo Il canto di Ulisse di Se questo è un uomo e che si riallaccia idealmente a questa mostra.

Video Il nostro canto di Ulisse

Foto:

1. Primo Levi nel 1978 (Archivio Centro Internazionale di Studi Primo Levi, Torino)

Trent’anni di storia italiana

“Suppongo che avrà visto che a Torino molto opportunamente è stato iniziato un corso di lezioni sulla recente Storia d’Italia affidata a nobili personalità della resistenza. A me è venuto in mente che si potrebbe fare qualcosa del genere a Bologna, a Modena, a Reggio e a Parma. (…) Ho pensato che a Bologna ci possano essere figure tali da consentirci di presentare questa Storia nel senso giusto e ho supposto che lei possa conoscerne più di uno” (Ugo Guanda all’avv. Francesco Berti Arnoaldi Veli, lettera del 2 maggio 1960).

 “(…) Avevamo da tempo notato il successo dell’iniziativa torinese (…). Ci è sembrato che l’ente più titolato a patrocinare una tale iniziativa sia il Consiglio Regionale (Consiglio regionale federativo della resistenza, ndr.)” (Berti a Guanda, lettera del 13 maggio 1960).

Il risultato di questo e altri scambi di lettere è la realizzazione di un ciclo di dodici lezioni intitolato “Trent’anni di storia italiana” per il quale Berti chiede l’appoggio del Consiglio comunale di Bologna: “L’iniziativa, che il Consiglio regionale della resistenza ha fatto propria raccogliendo sollecitazioni ed inviti di associazioni culturali, enti collettivi, insegnanti, studenti interpreta l’esigenza –oggi diffusa e pressante come non mai- di presentare al pubblico e specie alle più giovani generazioni, attraverso la parola di illustri storici e testimonianze dirette, le vicende che dal primo dopoguerra hanno portato il nostro Paese alla perdita ed al glorioso riacquisto della libertà”. (Berti al sindaco Giuseppe Dozza, lettera del 15 dicembre 1960).

I Consigli comunale e provinciale di Bologna danno il proprio assenso all’iniziativa accettando di finanziarla e di accordare come sede il Teatro Comunale della città. Il voto a favore è espresso, con grande soddisfazione degli organizzatori, anche dalla Democrazia Cristiana, dapprima scettica, ma poi convinta dall’alto valore dei relatori e dei temi trattati.

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Foto:

  1. Una delle dodici lezioni del ciclo “Trent’anni di storia italiana” (Archivio Istituto storico Parri Emilia-Romagna)
  2. Il pubblico del Teatro Comunale di Bologna durante le lezioni di “Trent’anni di storia italiana” (Archivio Istituto storico Parri Emilia-Romagna)

Il clima politico

Il clima in cui il ciclo si svolge non è tranquillo: a quindici anni dal termine della guerra il verificarsi di 7_PrimoLevi _l'Unità.jpgepisodi di sanguinosa repressione poliziesca fa temere per la ritrovata democrazia. La connotazione politica e l’intento educativo di queste lezioni, specialmente nei confronti dei giovani, sono particolarmente vivi e sentiti.

“La manifestazione ovviamente non ha carattere storico nel vero senso della parola. Nell’intenzione è una manifestazione di pretto carattere politico che mira a fare conoscere specie ai giovani i recenti fatti. (…) L’opportunità della manifestazione a noi è parsa resa sempre più evidente dai molteplici eventi e fatti che hanno avuto luogo in questi ultimi anni, culminati poi nei gravi episodi del luglio dell’anno scorso (Berti a Mario Longhena, lettera senza data; il riferimento è probabilmente all’uccisione di alcuni operai a Reggio Emilia nel corso di una manifestazione duramente contrastata dalle forze dell’ordine, ndr)”.

Il programma della rassegna “Trent’anni di storia italiana” si struttura progressivamente in dodici lezioni che spaziano, in ordine cronologico, dall’avvento del fascismo all’approdo alla carta costituzionale.

Le lezioni sono così organizzate: una relazione di 45 min. scritta e letta da una personalità particolarmente qualificata e testimonianze di 15 min., orali, prestate da persone che parteciparono in maniera diretta ai fatti rievocati nella relazione, il tutto coordinato da un presidente. “La testimonianza sia parlata, non scritta: la forma conversativa avvince i giovani, che invece mostrano insofferenza di fronte a manifestazioni oratorie” (Berti ai relatori, lettera del 7 marzo 1961)

 

_6.Primo Levi_6.jpg Lettera Berti a tutti_facciata 1.jpg Lettera Berti a tutti_facciata 2.jpg

Foto:

  1. Pagina del quotidiano L’Unità, cronaca di Bologna (Biblioteca Fondazione Gramsci Emilia-Romagna)
  2. Il pubblico del Teatro Comunale di Bologna durante le lezioni del ciclo “Trent’anni di storia italiana” (Archivio Istituto storico Parri Emilia-Romagna)
  3. Lettera di Berti a tutti i relatori della serata del 13 marzo (Archivio Istituto storico Parri Emilia-Romagna)

 

La lezione del 13 marzo 1961

La settima lezione è dedicata al tema “Il nazismo e le leggi razziali in Italia”.8_PrimoLevi _Comunale.jpg

La relazione è affidata a Enzo Enriques Agnoletti, le testimonianze sono di Primo Levi e Piero Caleffi sulle deportazioni e i campi di sterminio, di Giorgio Bassani sull’assalto alla sinagoga di Ferrara e di Giulio Supino sugli italiani di fronte al razzismo. Presiede Giovanni Favilli.

Ottenere la partecipazione di Primo Levi non è facile: gli “amici torinesi” fanno sapere a Berti che per Levi sarebbe un notevole sacrificio recarsi a Bologna e tuttavia l’avvocato insiste, sia scrivendogli direttamente, sia chiedendo l’intermediazione di Eugenio Heiman, presidente della Comunità Israelitica di Bologna, che gli invia il recapito e la velina di una testimonianza scritta, probabilmente la “Testimonianza per Eichmann”, recentemente pubblicata nel volume Così fu Auschwitz, Torino Einaudi 2015, di cui nel fondo del Comitato federativo regionale per la resistenza dell’Emilia-Romagna si trovano alcune copie dattiloscritte. “La sua (di Primo Levi, ndr.) presenza è vivamente desiderata, e in modo particolare dalla Comunità, poiché sappiamo che ha sempre saputo destare una profonda e cosciente commozione (…)” (Berti a Ugo Levi, allora presidente della Comunità ebraica di Torino, lettera del 22 febbraio 1961).
Dopo un primo rifiuto, dunque, Primo Levi accetta di partecipare.

La serata ottiene un enorme successo.
“Caro Levi, è difficile -e pericoloso- dire che si è contenti. Eppure gli amici del Comitato organizzatore ed io siamo contenti della lezione sul nazismo e le leggi razziali in Italia, perché non ci era ancora avvenuto di sentire una tale fusione tra relatore e testi; né ancora avevamo visto il pubblico e, diciamolo pure, noi stessi, colpiti da tale emozione. (…) Ed ora io dovrei dirle che le sue parole hanno turbato molti, e che tra i molti c’ero anch’io: dovrei riferirle l’ammirazione, la gratitudine, l’apprezzamento di amici che hanno voluto anche telefonarmi nei giorni seguenti la lezione. Ma la sua modestia forse non lo gradirebbe. Voglio solo dirle che, udendo la sua parola, ho sentito (e non io solo) un invito all’amore tra gli uomini (...) Continui, continui a portare ai giovani ed ai non giovani la sua testimonianza che ha il valore d’un atto d’amore. Nulla vale più della parola di colui che ha sofferto e non odia”. (Berti a Primo Levi, lettera del 24 marzo).

 

Lettera Berti a UGO Levi_facciata 1.jpg Lettera Berti a UGO Levi_facciata 2.jpg Lettera Berti a Primo Levi ringrazia per partecipazione.jpg Lettera Berti a Primo Levi dopo serata.jpg

Foto:

  1. L’Unità dà la notizia della serata, 13 marzo 1961 (Biblioteca Fondazione Gramsci Emilia-Romagna)
  2. Lettera di Berti a Ugo Levi (Archivio Istituto storico Parri Emilia-Romagna)
  3. Lettera di Berti a Primo Levi (Archivio Istituto storico Parri Emilia-Romagna)
  4. Lettera in cui Berti si complimenta con Primo Levi al termine della serata (Archivio Istituto storico Parri Emilia-Romagna)

La testimonianza

Primo Levi racconta la sua storia personale di ragazzo ebreo: dapprima le leggi razziali che, tuttavia, non gli impediscono di arrivare a laurearsi e colgono lui come tanti altri in una fase di disimpegno che egli attribuisce all’azione narcotizzante del fascismo sulle coscienze individuali. Poi, gradualmente, arrivano la consapevolezza e l’adesione alla resistenza, ma Primo, come gli altri suoi coetanei, è impreparato all’impresa e viene presto arrestato in un rastrellamento. Ingenuamente svela la sua identità di ebreo e viene inviato al campo di Fossoli, dal quale dovrà partire, in un treno piombato insieme ad altre 649 persone, alla volta della Germania. Il viaggio si conclude ad Auschwitz, ma Primo Levi viene mandato a Monowitz, un campo dipendente da Auschwitz che egli definisce “un buon campo”, perché era un campo di lavoro dove la sopravvivenza media era di tre mesi e non di una o due settimane al massimo come accadeva nei campi di sterminio.

Qui, grazie alla conoscenza del tedesco e alla laurea in chimica, viene impiegato in lavori un po’ meno duri e, soprattutto, ha la fortuna di non ammalarsi per circa un anno. Si ammala solo verso il 10 gennaio del 1945, quando, per ordine di Hitler tutto il campo di Auschwitz viene evacuato e tutti coloro che sono in grado di camminare sono costretti a mettersi in marcia nella neve morendo, il più delle volte, di freddo e di stenti. I malati, all’atto dell’ordine di evacuazione, vengono lasciati in infermeria e da qui, dopo un bombardamento delle forze alleate, Primo sarà liberato insieme agli altri pochi superstiti il 27 gennaio.

“Si dice fame, ma è una cosa diversa dalla fame che tutti conoscono, è fame cronicizzata, e non risiede più nei visceri, ma nel cervello, è diventata un’ossessione, non la si dimentica in nessun istante della giornata; e di notte, dal principio alla fine del sonno, non si sogna che di mangiare o, meglio, si sogna che si sta per mangiare, ma poi, come nel mito di Tantalo qualcosa, all’ultimo istante, fa sì che il cibo scompaia.

Si dice fatica ma nella vita comune nessuno esperimenta questa fatica, che è quella delle bestie da traino, è fatica più disprezzo, fatica senza scampo, senza pietà da parte di chi la impone, fatica accompagnata dalla nozione di inutilità, bestiale ed estenuante e priva di scopo. Si dice freddo, ma anche il più umile mendicante trova un giaciglio caldo, un bicchiere di vino. (…)

Ma i rari momenti di sosta, di assenza dal dolore fisico e di disagio, quali ad esempio gli eccezionali giorni di riposo (io ne ho avuto solo cinque in un anno), sono pieni di un altro genere di dolore, non meno angoscioso: è il dolore umano, quello che nasce dal ritorno alla coscienza, dal riprendere percezione di quanto sia lontana la casa, quanto improbabile la libertà, dal ricordo dei propri cari, vivi ed inaccessibili, oppure mandati a morte come bestie al macello”.

 

Primo_Levi.jpg 3. Viaggio ad Auschwitz, 1965.jpg

Foto:

  1. Primo Levi ai tempi della guerra (Wikimedia Commons)
  2. Collage di foto di un viaggio ad Auschwitz del 1965. Nell’immagine in alto, accanto a Primo Levi si vedono Giuliana Tedeschi e Leonardo De Benedetto. (Archivio Centro internazionale di studi Primo Levi di Torino)

Cronologia

1919. Primo Levi nasce il 31 luglio, a Torino, nella casa dove abiterà poi tutta la vita, da Ester e Cesare Levi, laureato in ingegneria elettrotecnica.

1921. Nasce la sorella Anna Maria, cui Primo sarà legatissimo per tutta la vita.02_Primo_Levi_e_Anna_Maria_Levi.jpg

1925-30. Frequenta la scuola elementare ma è di salute cagionevole e riceve lezioni private per un anno dopo la fine del ciclo scolastico.

1934 Inizia la sua carriera scolastica al Ginnasio-Liceo D'Azeglio.

1937. Alla licenza liceale è rimandato a ottobre in italiano. Si iscrive al corso di chimica presso la facoltà di Scienze dell'Università di Torino.

1938. Il governo fascista emana le prime leggi razziali: è fatto divieto agli ebrei di frequentare le scuole pubbliche, tuttavia a chi è già iscritto all'Università è consentito di proseguire gli studi. Levi frequenta circoli di studenti antifascisti, ebrei e non.

1941. In luglio si laurea con lode. Il suo diploma reca la menzione “di razza ebraica”. Trova il suo primo impiego nel laboratorio chimico di una cava d’amianto a Lanzo Torinese.

1942. Trova lavoro a Milano presso la Wander, una fabbrica svizzera di medicinali. Frequenta un gruppo di amici torinesi ed entra nel Partito d’Azione clandestino.

1943. Nel luglio cade il governo fascista. Levi è attivo nella rete di contatti del futuro Cln. Si unisce a un gruppo partigiano operante in Val d'Aosta, ma all'alba del 13 dicembre è arrestato presso Brusson con altri quattro compagni. Si dichiara «di razza ebraica» e viene avviato nel campo di concentramento di Fossoli, vicino a Modena.

1944. Nel febbraio il campo di Fossoli viene preso in gestione dai tedeschi. Levi, insieme ad altri prigionieri, è deportato ad Auschwitz e assegnato al campo di Monowitz, dove viene impiegato nella fabbrica di gomma sintetica Buna.

1945. A gennaio i tedeschi in fuga abbandonano Auschwitz e lasciano al loro destino gli ammalati ricoverati nell’infermeria del Lager. Tra questi c’è Primo Levi, che ha contratto la scarlattina. Il 27 le truppe sovietiche fanno il loro ingresso nel campo. Dopo una sosta nel campo sovietico di Katowice, dove lavora come infermiere, Levi insieme agli altri profughi intraprende un lungo viaggio di ritorno attraverso la Russia Bianca, l’Ucraina, la Romania, l’Ungheria, l’Austria. Giunge in Italia il 19 ottobre.

1946-1947. Il reinserimento nell’Italia disastrata del dopoguerra è difficile. Levi trova impiego presso la fabbrica di vernici Duco-Montecatini, ad Avigliana, vicino a Torino. Scrive Se questo è un uomo e lo pubblica presso l’editore De Silva. Sposa Lucia Morpurgo. Si licenzia dalla Duco e viene assunto come chimico di laboratorio alla SIVA, piccola fabbrica di vernici tra Torino e Settimo Torinese.

1948. Nasce la figlia Lisa Lorenza.

1952-55. Su invito di Paolo Boringhieri collabora con le edizioni scientifiche Einaudi. Nel 1955 l’interesse suscitato da una mostra sulla deportazione tenutasi a Palazzo Madama in Torino convince l’Einaudi a prendere in considerazione una nuova edizione di Se questo è un uomo. Per problemi economici della casa editrice, la pubblicazione avverrà solo nel 1958.

1957. Nasce il figlio Renzo. Levi lavora al racconto del ritorno, che diventerà La tregua e ai racconti che confluiranno in Storie naturali.

1958. Esce per Einaudi la nuova edizione di Se questo è un uomo.

1963. Einaudi pubblica La tregua, il racconto del ritorno da Auschwitz

1964. Levi scrive vari racconti a sfondo tecnologico che vengono pubblicati su Il Giorno e altrove.

196503_Famiglia_Levi.jpg. Torna ad Auschwitz per una cerimonia commemorativa polacca.

1966. Levi raccoglie i racconti in un volume intitolato Storie con lo pseudonimo di Damiano Malabaila.

1971. Pubblica una seconda raccolta di racconti, Vizio di forma.

1972-73. Fa numerosi viaggi di lavoro in Unione Sovietica di cui rimarrà traccia ne La chiave a stella, Acciughe I e II

1975. Decide di pensionarsi. Pubblica Il sistema periodico e raccoglie le sue poesie nel volumetto di Scheiwiller L’osteria di Brema.

1978. Pubblica La chiave a stella, che vince il Premio Strega e sarà tradotto in francese due anni dopo.

1981. Prepara per Einaudi La ricerca delle radici, un'antologia personale degli autori che hanno contato particolarmente per la sua formazione culturale. Pubblica Lilít e altri racconti.

1982. Ad aprile esce Se non ora, quando? Di lì a poco tradotto in francese. Compie il secondo viaggio ad Auschwitz. Prende posizione contro Begin in seguito all’invasione israeliana del Libano e al massacro di Sabra e Chatila.

1983 Traduce La via delle maschere e Lo sguardo da lontano di Claude Lévy-Strauss e pubblica la traduzione de Il processo di Kafka.

1984. Pubblica con Garzanti la raccolta di poesie Ad ora incerta. Grazie all'edizione americana del Sistema periodico (The Periodic Table) e al grande apprezzamento di autori come Saul Bellow, si moltiplicano le traduzioni dei libri di Levi in vari paesi e le recensioni positive nei suoi riguardi.01_Primo_Levi_(1960).jpg

1985. Raccoglie in volume, con il titolo L'altrui mestiere, una cinquantina di scritti apparsi principalmente su «La Stampa». Scrive l’introduzione per la nuova edizione tascabile di Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss. Si reca negli Stati Uniti per una serie di incontri e conferenze in varie sedi universitarie.

1986. Pubblica I sommersi e i salvati, sintesi delle riflessioni di una vita sull'esperienza del lager. L'Editrice «La Stampa» raccoglie in volume le collaborazioni 1977-86 al quotidiano torinese, con il titolo Racconti e saggi. Riceve nella sua casa l’amico Philip Roth a cui concede una lunga intervista che sarà pubblicata su The New York Times Book Review. Si espone sulla questione della responsabilità degli scienziati.

1987. Prende posizione nella polemica sul revisionismo storico che sta crescendo in Germania. L’11 aprile muore suicida nella casa di corso Re Umberto.

(dalla cronologia di Ernesto Ferrero, in Primo Levi, Opere complete I-II, Einaudi, Torino 2017)

Foto:

1. Primo Levi nel 1960 circa (Wikimedia Commons)

2. Primo Levi con la sorella Anna Maria (Wikimedia Commons)

3. La famiglia Levi (Wikimedia Commons)

 

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ultima modifica 2021-02-03T16:01:50+01:00
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