Pèsach
E’ una delle tre feste del pellegrinaggio. Ricorda la liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto. Il termine ebraico Pesach significa “passaggio” e si riferisce ad una delle dieci piaghe, quando Dio passò oltre le case degli ebrei, risparmiando i loro primogeniti dalla morte che invece colpì tutti i primogeniti egiziani.
La preparazione della Pasqua si concentra sull’eliminazione dalle mura domestiche delle sostanze lievitate (chamez), in ricordo della cena consumata in fretta alla vigilia della fuga dall’Egitto. Il culmine dei riti pasquali è costituito dalla celebrazione della cena, chiamata seder (ordine), che si svolge nelle prime due sere della festa. Sulla tavola, apparecchiata con le stoviglie per Pesach, vi sono tre azzime (mazzot), una zampa di agnello (zerda), in ricordo dell’antico sacrificio pasquale, un uovo sodo (betza), simbolo di lutto in ricordo della distruzione del Tempio, erbe amare (maror), per ricordare l’amarezza della schiavitù, sedano (karpas) da intingere nell’aceto o nell’acqua salata, simile alle lacrime versate, un composto di frutta (charoset), che ricorda l’argilla con cui gli schiavi ebrei fabbricavano mattoni.
Il seder rappresenta il protrarsi del racconto delle proprie origini e questo ininterrotto narrare costituisce, oltre a un indubitabile processo di identità culturale, anche la diretta esecuzione del precetto biblico che prescrive di raccontare al proprio figlio l’uscita dall’Egitto. Il tutto è racchiuso nell’Haggadah (narrazione) che comprende il racconto dell’uscita dall’Egitto e le varie interpretazioni rabbiniche nei secoli successivi.