Ebrei erranti tra pellegrinaggio e utopia
Fin dalla duplice distruzione dell’antica Gerusalemme, per mano prima di Nabucodonosor nel 586 a.e.v. e poi di Tito nel 70 e.v., gli ebrei sono stati per la maggior parte esuli ed erranti.
E una condanna inflitta dalla storia si può talora sopportare meglio se la si trasforma in una vocazione.
La vasta letteratura di viaggio prodotta dagli ebrei erranti di ogni tempo percorre territori mitici alla ricerca di un remoto e fantasmatico Israele incontaminato (Il libro di Eldad della tribù di Dan); si sposta poi alla ricerca della Terra prima Promessa e poi perduta, ma mai dimenticata, anche quando dilaniata dalle guerre fra i dominatori cristiani e quelli musulmani (Yehudah ha-Levi, Binyamin da Tudela, Petachyah da Regensburg, 'Ovadyah da Bertinoro); e infine racconta dei concreti spostamenti per affari di banchieri e di mercanti che cercano oltre i mari quei mezzi di vita e di benessere che l’Europa cristiana tanto spesso ha negato (Mešullam da Volterra, Eliyyah da Pesaro, Mošeh Basola).
Ripercorreremo le rotte e le piste dei corrispettivi ebrei – ora immaginifici e ora obiettivi, ora avidi e ora devoti – di un Marco Polo e di un Ibn Battuta, tanto grandi come viaggiatori quanto come scrittori.